Secondo Mark Gurman di Bloomberg, “Apple è riuscita a sfuggire alla sua più grande crisi dai tempi della pandemia, almeno per il momento”. I dazi del 125% imposti da Donald Trump sui beni prodotti in Cina minacciavano di sconvolgere la catena di approvvigionamento della Mela morsicata, “tanto gravemente quanto lo avevano fatto le crisi del Covid cinque anni fa. Il presidente degli Stati Uniti ha regalato ad Apple un’importante vittoria, esentando molti popolari dispositivi elettronici di consumo. Tra questi, iPhone, iPad, Mac, Apple Watch e AirTag. Un’altra vittoria: il dazio del 10% sui beni importati da altri Paesi è stata eliminata per quei prodotti”.
Anche se potrebbe ancora essere introdotta un nuovo dazio di settore, seppure più bassa, sui beni che contengono semiconduttori (e rimane in vigore un dazio del 20% sulla Cina), il cambiamento imposto da Trump rappresenta una vittoria per Apple e per l’industria dell’elettronica di consumo che dipende ancora fortemente dall’Asia per la produzione dei device e dei chip. “Questo è un grande sollievo per Apple” – ha dichiarato Amit Daryanani, analista di Evercore ISI, in una nota – “I dazi avrebbero fatto aumentare i costi dei materiali”. In conseguenza di tutto ciò, è atteso un incremento del valore azionario generalizzato, soprattutto per Apple che nelle ultime due settimane è arrivata a perdere fino a 30 dollari per azione (partiva da oltre 200 dollari) e ora si assesta su una perdita di circa 25 dollari.
Prima dell’esenzione sottoscritta da Trump, l’azienda di Cupertino aveva un piano: adeguare la propria catena di approvvigionamento per produrre in India più iPhone destinati agli Stati Uniti, India dove sarebbero stati soggetti a imposte molto inferiori. I dirigenti Apple ritenevano che questa sarebbe stata una soluzione a breve termine per evitare i dazi cinesi e scongiurare pesanti aumenti di prezzo. Considerando che gli stabilimenti iPhone in India sono sulla buona strada per produrre oltre 30 milioni di iPhone all’anno, la sola produzione in quel Paese avrebbe potuto soddisfare una buona parte della domanda americana. Apple, al giorno d’oggi, vende circa 220-230 milioni di iPhone all’anno, di cui circa un terzo destinato agli Stati Uniti.
Un simile cambiamento sarebbe difficile da realizzare senza intoppi, soprattutto perché Apple si sta già avvicinando alla produzione dell’iPhone 17, che sarà realizzato principalmente in Cina. Nei reparti operativi, finanziari e marketing di Cupertino si sono fatti strada una serie di timori circa l’impatto sul lancio autunnale dei nuovi telefoni, alimentando un senso di incertezza. L’azienda, in pochi mesi, avrebbe dovuto portare a termine l’impresa erculea di spostare una maggiore produzione di iPhone 17 in India o altrove. Forse avrebbe dovuto aumentare i prezzi – cosa ancora possibile e per nulla scongiurata – oltre a imbastire negoziazioni impegnative con i fornitori per ottenere margini migliori. E il famoso motore di marketing di Apple avrebbe dovuto convincere i consumatori che ne valeva la pena.
Ma la sensazione di incertezza permane. È probabile che le politiche della Casa Bianca cambino di nuovo e Apple potrebbe dover adottare cambiamenti più radicali. Almeno per ora, però, il management tira un sospiro di sollievo.
Un’altra preoccupazione: se Apple spostasse ancora più produzione dalla Cina a un ritmo rapido, come reagirebbe il Paese? Apple genera circa il 17% del suo fatturato in Cina e gestisce decine di negozi, il che la rende un’eccezione tra le aziende con sede negli Stati Uniti. Un portavoce di Apple ha rifiutato di commentare. La Cina ha avviato indagini sulla concorrenza nei confronti di aziende statunitensi e potrebbe creare problemi ad Apple attraverso le sue procedure doganali. Negli ultimi anni, ha anche vietato l’uso di iPhone, tra gli altri dispositivi progettati negli Stati Uniti, ai suoi dipendenti pubblici. Ciò ha fatto seguito a una stretta statunitense nei confronti di Huawei.
L’iPhone è il dispositivo che genera più fatturato per Apple e, secondo le stime di Morgan Stanley, circa l’87% di essi viene prodotto in Cina. Anche circa quattro iPad su cinque sono prodotti nel Paese, insieme al 60% dei Mac. Complessivamente, questi prodotti rappresentano circa il 75% del fatturato annuo di Apple. Tuttavia, l’azienda produce quasi tutti i suoi Apple Watch e AirPods in Vietnam. Anche alcuni iPad e Mac vengono prodotti in quest’ultimo Paese e la produzione di Mac si sta espandendo in Malesia e Thailandia. Secondo le stime di Morgan Stanley, l’azienda genera circa il 38% delle vendite di iPad negli Stati Uniti, nonché circa la metà dei ricavi derivanti da Mac, Apple Watch e AirPods.
Una rottura totale con la Cina, polo produttivo di Apple da decenni, sarebbe improbabile. Sebbene Trump abbia spinto Apple a produrre iPhone negli Stati Uniti, la mancanza di talenti ingegneristici e manifatturieri nazionali renderà ciò quasi impossibile nel breve termine. Le dimensioni e la portata degli stabilimenti in Cina li rendono ineguagliabili in termini di velocità ed efficienza. La produzione in Cina è inoltre cruciale per le vendite di Apple nel mondo, ovvero fuori dagli Stati Uniti. L’azienda con sede a Cupertino, in California, realizza quasi il 60% del suo fatturato al di fuori delle Americhe.
Da quando il 2 aprile è stata annunciata un’ondata di dazi, i lobbisti di Apple e di altre aziende tecnologiche hanno fatto pressioni sulla Casa Bianca affinché concedesse delle esenzioni. Ma le discussioni hanno assunto un carattere particolarmente urgente negli ultimi giorni, dopo che una serie di rappresaglie tra Washington e Pechino hanno portato a dazi pari al 145% sulle importazioni dalla Cina. L’impatto potenziale è stato ancora più evidente dopo che Trump ha sospeso l’aumento dei dazi doganali su altri Paesi perché al presidente degli Stati Uniti è stato spiegato che le rivali di Apple, tra cui Samsung (che produce i suoi telefoni al di fuori della Cina), avrebbero avuto un vantaggio.
Apple e altre aziende hanno sottolineato all’amministrazione Trump che, pur essendo disposte ad aumentare gli investimenti negli Stati Uniti, ci sarebbero pochi vantaggi nello spostare l’assemblaggio finale nel Paese. Hanno anche sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sul ripristino di posti di lavoro specializzati e incoraggiare gli investimenti in settori come la produzione di semiconduttori.
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