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Quando una fideiussione bancaria è considerata nulla?


Fideiussione bancaria nulla per violazione antitrust (clausole ABI: reviviscenza, sopravvivenza, deroga 1957cc – nullità parziale) o altri motivi.  

Nel mondo del credito e degli affari, la fideiussione bancaria è uno strumento frequentissimo. Spesso ci viene chiesto di firmarla per garantire un prestito a un familiare, un mutuo per la casa, o per assicurare le obbligazioni della nostra società. Si tratta di un impegno gravoso: il fideiussore diventa garante con il proprio patrimonio per i debiti altrui. Ma siamo sicuri che quel documento, spesso presentato dalla banca come uno standard intoccabile, sia sempre valido e inattaccabile? In realtà, la legge italiana prevede diverse ipotesi in cui una fideiussione può presentare vizi nascosti tali da renderla, in tutto o in parte, nulla. Comprendere queste possibilità è fondamentale per chi ha firmato una garanzia e si trova magari a dover fronteggiare una richiesta di pagamento da parte della banca. La domanda che ci si pone in questi casi è dunque la seguente: quando la fideiussione bancaria è considerata nulla? Quali sono le “ancore di salvezza” legali che possono invalidare o limitare questo serio impegno? Questa guida esplorerà le principali cause di nullità, con un focus particolare sulla complessa questione legata alla normativa antitrust e alle clausole dello schema ABI, ma senza tralasciare altre importanti ipotesi previste dal Codice Civile.

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Una fideiussione firmata non è quindi sempre una strada a senso unico verso il pagamento. Esistono diverse circostanze riconosciute dalla legge e dalla giurisprudenza che possono portare alla dichiarazione di nullità, totale o parziale, del contratto di garanzia.

Violazione della normativa Antitrust (schema ABI e provvedimento Banca d’Italia)

Il motivo di nullità della fideiussione bancaria che ha generato più contenziosi negli ultimi anni riguarda la violazione della normativa Antitrust.  Tutto nasce da un’indagine della Banca d’Italia che, con il Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha accertato che uno schema contrattuale standard per le fideiussioni omnibus (quelle che garantiscono tutti i debiti, presenti e futuri, di un soggetto verso una banca), predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e largamente utilizzato dalle banche, conteneva alcune clausole specifiche che erano frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza tra le banche stesse, vietata dalla legge antitrust italiana (Legge n. 287/1990, art. 2).

Le clausole dello schema ABI dichiarate contrarie alla normativa antitrust dalla Banca d’Italia sono principalmente tre:

  • clausola di “reviviscenza” (art. 2 dello schema ABI): prevede che il fideiussore debba rimborsare alla banca le somme che questa aveva incassato dal debitore principale, ma che poi è stata costretta a restituire a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti (tipico caso: azioni revocatorie in procedure fallimentari). In pratica, il fideiussore “paga due volte” o garantisce anche eventi successivi all’apparente estinzione del debito;
  • clausola di “sopravvivenza” (art. 6 dello schema ABI): stabilisce che, anche se le obbligazioni principali garantite fossero dichiarate invalide (es. il contratto di finanziamento è nullo), la fideiussione resterebbe comunque valida per garantire l’obbligo del debitore di restituire le somme che la banca gli aveva erogato. Deroga al principio per cui la garanzia segue il destino del debito principale;
  • clausola di deroga all’art. 1957 c.c. (art. 8 dello schema ABI): questa clausola esonera la banca dall’obbligo previsto dall’articolo 1957 del Codice Civile, il quale imporrebbe alla banca di agire contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione per non perdere il diritto di agire contro il fideiussore. La deroga mantiene integri i diritti della banca verso il fideiussore fino alla totale estinzione del debito, senza limiti temporali stringenti per agire.

La Cassazione Sezioni Unite (n. 41994/2021) ha risolto la questione stabilendo questo principio: i contratti di fideiussione stipulati “a valle” dell’intesa anticoncorrenziale (cioè quelli che utilizzano il modello ABI contenente le clausole vietate) sono affetti da nullità parziale. Questo significa che solo le specifiche clausole che riproducono quelle dello schema ABI vietato (reviviscenza, sopravvivenza, deroga art. 1957) sono nulle e si considerano come non apposte. Il resto del contratto di fideiussione rimane, di regola, valido ed efficace.

L’intero contratto potrebbe essere dichiarato nullo solo se la parte interessata (solitamente il fideiussore) riuscisse a provare che non avrebbe concluso il contratto senza quelle specifiche clausole nulle (applicazione dell’art. 1419 c.c.), prova che però è molto difficile da fornire. Una vastissima mole di sentenze di merito e di Cassazione applica costantemente questo principio della nullità parziale limitata alle clausole ABI.

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Attenzione: per le fideiussioni stipulate dopo la decisione della Banca d’Italia del 2005, la giurisprudenza (incluse decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario e sentenze della Cassazione) ritiene che non basti più la semplice presenza delle clausole conformi allo schema ABI per dichiararne la nullità parziale. Il fideiussore che agisce in giudizio deve fornire anche la prova che l’intesa anticoncorrenziale tra banche fosse ancora operante al momento della stipula della sua fideiussione e che la specifica banca contraente vi stesse ancora partecipando. Questa prova può essere complessa.

È importante sottolineare che tutta la questione antitrust e la conseguente nullità parziale delle clausole riguarda principalmente le fideiussioni omnibus. Le fideiussioni specifiche, cioè quelle rilasciate a garanzia di un’obbligazione ben determinata (es. un singolo mutuo, un prestito specifico), sono generalmente considerate estranee all’ambito di applicazione del Provvedimento n. 55/2005. Pertanto, la presenza delle clausole “incriminate” in una fideiussione specifica, di norma, non ne comporta la nullità per motivi antitrust (come chiarito da Trib. Roma n. 11979/2024 e Trib. Cassino n. 1319/2024).

Altre cause di nullità della fideiussione (derivanti dal Codice Civile)

Oltre alla complessa vicenda antitrust, esistono altre cause di nullità che possono inficiare un contratto di fideiussione, basate sui principi generali del diritto dei contratti:

  • illiceità della causa (art. 1343 c.c.): una fideiussione è nulla se la sua causa concreta, cioè la ragione pratica per cui viene stipulata, è contraria a norme imperative (norme che non possono essere derogate dalle parti), all’ordine pubblico (principi fondamentali dell’ordinamento giuridico) o al buon costume (principi etici e morali condivisi dalla società). Ad esempio, potrebbe essere nulla una fideiussione data per garantire un debito derivante da attività criminali. (Rif. Decisione ABF n. 245/2023);
  • mancanza di validità dell’obbligazione principale (art. 1939 c.c.): la fideiussione è un contratto accessorio, cioè la sua esistenza e validità dipendono dall’esistenza e validità dell’obbligazione principale (il debito garantito). Se l’obbligazione principale è nulla (es. il contratto di finanziamento da cui deriva il debito è nullo per mancanza di forma scritta quando richiesta), anche la fideiussione sarà nulla, perché viene meno il suo oggetto. Fa eccezione, prevista dalla norma, la fideiussione prestata per un’obbligazione assunta da una persona incapace (es. un minore): in questo caso, la fideiussione può rimanere valida;
  • eccesso rispetto all’obbligazione principale (art. 1941 c.c.): la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore principale, né essere prestata a condizioni più onerose (es. tassi di interesse più alti). Se la fideiussione prevede un importo garantito superiore al debito effettivo, o condizioni più gravose, non è interamente nulla, ma la sua validità è limitata a quanto effettivamente dovuto dal debitore principale e alle sue condizioni. L’eccesso è inefficace;
  • difetto di forma: sebbene la legge non richieda una forma specifica per la validità della fideiussione (potrebbe essere valida anche se non scritta, anche se la forma scritta è la prassi ed è necessaria per la prova), potrebbero esserci requisiti di forma specifici imposti da normative speciali. Ad esempio, se il fideiussore è un consumatore, potrebbero applicarsi le norme del Codice del Consumo sulle clausole vessatorie, che richiedono specifiche approvazioni per iscritto o possono portare alla nullità di clausole particolarmente squilibrate se non negoziate individualmente.

Cosa fare se si sospetta la nullità della fideiussione?

Se hai firmato una fideiussione e temi che possa essere nulla (in tutto o in parte), ecco alcuni passi consigliati:

  1. verifica la data di stipula (prima o dopo il 2005?). Controlla se sono presenti le clausole specifiche dello schema ABI (reviviscenza, sopravvivenza, deroga art. 1957 c.c.). Identifica se si tratta di una fideiussione omnibus o specifica;
  2. conserva copia del contratto di fideiussione, del contratto di finanziamento principale garantito, e di ogni comunicazione intercorsa con la banca;
  3. rivolgiti a un avvocato specializzato in diritto bancario e finanziario o a un’associazione di tutela dei consumatori/imprese. La materia è tecnica e complessa, soprattutto per la questione antitrust e la prova richiesta per le fideiussioni post-2005.
  4. se la banca ti richiede il pagamento e ritieni che la fideiussione sia nulla (totalmente o parzialmente), dovrai sollevare questa eccezione come difesa in un eventuale giudizio o provare a farla valere in sede di trattativa stragiudiziale. Ricorda che la nullità parziale delle clausole ABI non cancella la fideiussione, ma elimina solo quelle specifiche clausole abusive.

In conclusione, una fideiussione bancaria non è un vincolo inscalfibile. La violazione della normativa antitrust ha reso parzialmente nulle molte fideiussioni omnibus basate sullo schema ABI, e altre cause di nullità previste dal Codice Civile possono renderla totalmente o parzialmente inefficace. Conoscere queste possibilità è il primo passo per tutelare i propri diritti di garante.



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