18.21 – giovedì 17 aprile 2025
Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Nonostante la significativa revisione della stance monetaria della Banca centrale europea, che tra dicembre 2023 e oggi ha ridotto il tasso sui depositi da 4,00% a 2,25%, la trasmissione ai tassi di interesse applicati dalle banche sui nuovi prestiti alle imprese risulta ancora parziale e inefficiente. Si osserva un disallineamento rilevante tra il ritmo della discesa dei tassi ufficiali e l’evoluzione dei tassi bancari. Il tasso medio sui nuovi prestiti alle società non finanziarie in Italia, pari al 5,45% a dicembre 2023, si è ridotto al 3,95% a febbraio 2025, segnando un calo di circa 150 punti base. Nello stesso arco temporale, il tasso Bce è stato ridotto di 175 punti base, implicando una trasmissione incompleta e ritardata.
È quanto sottolinea il Centro studi di Unimpresa, secondo cui il differenziale diventa uno spread implicito in crescita tra il tasso Bce e i tassi applicati ai finanziamenti alle imprese, in particolare quelli di minore entità: a febbraio 2025, il tasso sui prestiti inferiori a 1 milione di euro risultava ancora al 4,60%, con uno scarto di 235 punti base rispetto al tasso sui depositi. È evidente, da un punto di vista tecnico, una trasmissione asimmetrica della politica monetaria, più lenta sul fronte attivo (crediti) rispetto a quello passivo (raccolta).
«Appare urgente, dunque, un riequilibrio del canale di trasmissione monetaria attraverso: una più rapida revisione al ribasso dei tassi sui nuovi prestiti, in linea con l’evoluzione del costo del denaro; un monitoraggio da parte delle autorità di vigilanza, volto a evitare comportamenti oligopolistici o distorsioni nel pricing del credito; un’azione di moral suasion che ribadisca il ruolo delle banche come facilitatori della ripresa e non solo come conservatori di redditività.
La piena efficacia della politica monetaria dipende, in ultima analisi, dalla capacità del sistema bancario di trasmettere correttamente gli stimoli all’economia reale. In assenza di tale meccanismo, il rischio è quello di una ripresa rallentata e di un aumento delle disuguaglianze tra settori e dimensioni d’impresa» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, un altro elemento critico è rappresentato dalla mantenuta elevata profittabilità netta da interesse delle banche. A gennaio 2025, lo spread medio tra i tassi attivi e passivi sulle nuove operazioni in euro risultava pari a 167 punti base, ben superiore ai livelli osservati prima del ciclo restrittivo, quando il tasso Bce si attestava attorno allo 0% e lo spread medio era inferiore ai 120 punti. Tale comportamento suggerisce che le banche stiano sfruttando l’inversione del ciclo monetario per preservare e consolidare i margini, piuttosto che trasferire in modo tempestivo i benefici della riduzione dei costi di funding alle imprese.
La rigidità nella riduzione del costo del credito può generare effetti negativi su più livelli. Riduzione degli investimenti produttivi: un costo del capitale ancora elevato rappresenta un freno per la pianificazione di nuovi investimenti, in particolare per le pmi, più sensibili al canale bancario del credito. Erosione della domanda aggregata: la compressione degli investimenti e la maggiore selettività nell’erogazione dei finanziamenti possono rallentare ulteriormente la dinamica della domanda interna, già debole in un contesto di stagnazione. Mancato stimolo alla crescita: la lentezza della trasmissione monetaria compromette uno degli obiettivi principali della politica espansiva della Bce, ovvero stimolare l’attività economica tramite l’allentamento delle condizioni finanziarie. Aumento della divergenza tra grandi imprese e pmi: le prime, con maggiore accesso ai mercati obbligazionari e migliori rating creditizi, beneficiano di condizioni di finanziamento più favorevoli. Le seconde restano esposte a condizioni bancarie rigide e meno reattive.
«Le banche italiane – peraltro beneficiarie di condizioni favorevoli in termini di raccolta e copertura dei rischi – sembrano non avere ancora metabolizzato il loro ruolo sistemico. Non è accettabile che il sistema creditizio scarichi sul tessuto imprenditoriale l’intero peso dell’incertezza. La Bce ha fornito un chiaro segnale: stimolare l’economia, riportare fiducia. Ma questo segnale non è ancora stato raccolto pienamente dagli istituti di credito, che continuano a frapporre ostacoli tra la discesa dei tassi ufficiali e il beneficio effettivo per le imprese. La colpa non può essere attribuita solo alla “prudenza” post-pandemica o ai vincoli regolamentari.
Si tratta, piuttosto, di una precisa scelta commerciale e strategica: difendere i margini invece che sostenere la ripresa. Eppure, proprio in questa fase servirebbe una “finanza coraggiosa”, capace di prendersi qualche rischio in più per agevolare gli investimenti, stimolare l’occupazione, rafforzare il capitale umano. Il credito resta troppo costoso, troppo selettivo e troppo lento nel recepire il cambiamento di scenario. Così facendo, si rischia di trasformare la stagione dei tagli dei tassi in un’occasione persa. Un’economia che non riesce a trasmettere in modo efficiente le decisioni di politica monetaria alle imprese è un’economia destinata a crescere al rallentatore. E in un contesto globale sempre più competitivo, questo rallentamento può diventare un handicap strutturale. È tempo che le banche facciano la loro parte. Non solo per responsabilità istituzionale, ma anche per una semplice verità economica: se le imprese non crescono, alla lunga non cresceranno nemmeno i profitti bancari» spiega il vicepresidente di Unimpresa.
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