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IL FILO TRANSATLANTICO, UNA PRIORITÀ PER L’ECONOMIA ITALIANA


di Paolo Longobardi, Presidente onorario Unimpresa

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Ci sono incontri che, pur nella loro apparente ritualità, segnano il passo di una relazione strategica. Il viaggio di ieri della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a Washington per incontrare Donald Trump, e la visita odierna del Vicepresidente JD Vance a Roma non sono semplici tappe diplomatiche. Sono il riflesso di un legame, quello tra Italia e Stati Uniti, che si nutre di storia, valori e, soprattutto, interessi economici concreti. In un mondo che si frammenta, tra protezionismi e tensioni geopolitiche, questo filo transatlantico è per l’Italia non solo un’opportunità, ma una necessità vitale.

Gli Stati Uniti rappresentano il nostro primo partner commerciale fuori dall’Europa. Nel 2024, l’interscambio ha toccato i 70 miliardi di euro, con un surplus italiano di oltre 40 miliardi, trainato da eccellenze come la meccanica, l’agroalimentare, la moda. Dietro questi numeri ci sono migliaia di imprese, spesso piccole e medie, che trovano nel mercato americano non solo sbocchi, ma prospettive di crescita. Eppure, il negoziato sui dazi, al centro del colloquio tra Meloni e Trump, ci ricorda quanto fragile possa essere questo equilibrio. Una guerra commerciale non gioverebbe a nessuno: né alle aziende italiane, già gravate da costi energetici e incertezze globali, né a quelle americane, che in Italia investono oltre 30 miliardi, generando occupazione e innovazione.

Meloni, con il pragmatismo che le si riconosce, ha saputo presentarsi a Washington come voce autorevole, non solo dell’Italia ma di un’Europa che cerca un dialogo costruttivo. La sua richiesta di un “punto di equilibrio” per evitare escalation tariffarie è più che un auspicio: è una linea di responsabilità. La visita di Vance a Roma, con il pranzo di lavoro a Palazzo Chigi insieme ai vicepremier Tajani e Salvini, conferma la volontà di entrambe le parti di costruire fiducia. Sul tavolo, un negoziato bilaterale ma anche la prospettiva di un’intesa più ampia tra Stati Uniti e Unione Europea. L’Italia, con il suo peso commerciale e la sua vocazione europeista, è chiamata a un ruolo di cerniera, complesso ma indispensabile.

Occorre guardare a questi sviluppi con attenzione e speranza. Le imprese italiane, che negli Stati Uniti investono con un impegno annunciato di 10 miliardi, non chiedono solo mercati aperti, ma certezze. Gli investimenti americani in Italia, d’altra parte, sono un motore di modernizzazione per settori come la tecnologia e l’energia. Questo scambio non è astratto: si traduce in lavoro, innovazione, crescita per le nostre comunità. Ma il cammino non è privo di ostacoli. Le divergenze emerse tra Meloni e Trump sull’Ucraina, così come le critiche di Vance alle politiche europee, segnalano che il dialogo richiede pazienza e visione. La diplomazia economica non può permettersi passi falsi, né retoriche divisive.

C’è un aspetto che merita di essere sottolineato: l’Italia non è solo un attore economico, ma un ponte culturale e politico. L’invito di Meloni a Trump per una visita a Roma, con la possibilità di un summit allargato a leader europei, è un’intuizione che potrebbe ridare slancio al rapporto transatlantico. Un’occasione per dimostrare che l’Italia sa essere protagonista, senza rinunciare alla sua identità europea. Questo dialogo politico si deve tradurre  in misure concrete: meno barriere, più opportunità per le pmi, un coinvolgimento attivo del mondo imprenditoriale nelle scelte che contano.

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Le piccole e medie imprese italiane, cuore pulsante del nostro sistema produttivo, sono le prime a beneficiare, ma anche a rischiare, in questa cruciale relazione con gli Stati Uniti. Con il 95% delle nostre aziende che rientrano in questa categoria, le PMI rappresentano l’ossatura dell’export verso gli USA, dove portano non solo prodotti, ma storie di qualità, innovazione e resilienza. Dalle aziende familiari del Made in Italy alle realtà tecnologiche che conquistano nicchie di mercato, il loro successo dipende da un accesso fluido al mercato americano, da costi competitivi e da un quadro normativo prevedibile. Una politica commerciale instabile o dazi penalizzanti potrebbero colpire proprio queste realtà, spesso prive delle risorse per assorbire shock esterni. Per questo, il governo metta le pmi al centro, con strumenti di supporto all’internazionalizzazione, incentivi agli investimenti e un dialogo costante con le associazioni di categoria, affinché la voce delle imprese più piccole non resti inascoltata nei grandi tavoli transatlantici.

In un’epoca di transizioni difficili, la relazione con gli Stati Uniti è per l’Italia un ancoraggio strategico. Non si tratta di inseguire sogni di grandeur, ma di costruire, con realismo, un futuro di prosperità condivisa. Le imprese italiane, con il loro coraggio e la loro creatività, sono pronte a fare la loro parte. Spetta alla politica, ora, trasformare le parole in fatti, il dialogo in risultati. La storia ci insegna che i grandi rapporti si costruiscono con pazienza e lungimiranza. È una lezione che non possiamo permetterci di dimenticare.

Ufficio Stampa Unimpresa
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