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Quel tesorette europeo di “Transizione 5.0”. Sei miliardi per le imprese ancora da spendere


La sensazione è che sia considerato un “tesoretto”. E da quasi vent’anni, davanti alla parola “tesoretto” occorrerebbe mettersi in guardia. Più o meno come suggeriva Joseph Goebbels a proposito della cultura: “Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola”. Senza gli estremismi proposti dal criminale nazista, non appena si sente pronunciare il vocabolo “tesoretto”, si sente odore di fregatura. Come nel 2007, quando il primo “decreto Tesoretto” si rivelò un “tassa e spendi”. Oggi si torna a parlare di tesoretto a proposito delle risorse non spese per il programma “Transizione 5.0”. E ci risiamo.

Microcredito

per le aziende

 

Dal 2023

La prima fregatura è proprio nella mancata spesa. “Transizione 5.0” è (era) una misura di sostegno alle imprese promossa alla fine del 2023. In complementarità con il Piano Transizione 4.0, si inserisce (si inseriva) nell’ambito della più ampia strategia finalizzata a sostenere il processo di trasformazione digitale ed energetica delle imprese. In linea con le azioni di breve e medio periodo previste dal piano REPowerEU, Transizione 5.0, con una dotazione finanziaria complessiva pari a 6,3 miliardi di euro, si pone (si poneva) l’obiettivo di favorire la trasformazione dei processi produttivi delle imprese, “rispondendo alle sfide poste dalle transizioni gemelle, digitale ed energetica”, come si legge sul sito del Mimit.

Un grande progetto al quale le aziende italiane non sono riuscite ad attingere che poche centinaia di migliaia di euro. Ne restano 6 miliardi tondi tondi, non spesi, dopo un anno e mezzo. Uno dei percorsi tortuosi e impraticabili della burocrazia italiana, complice di quella non meno opaca di Bruxelles. Ormai bisogna parlarne al passato. Il Governo ha già ammesso più volte che quella ricca somma non potrà essere spesa nella scadenza prefissata del 2026. Il Piano “Transizione 5.0” resterà al palo. Con buona pace degli imprenditori che hanno ingaggiato consulenti di vaglia per provare a penetrare la giungla delle norme. Inapplicabili. Inapplicate.

Serve un’industria più competitiva

Eppure, Dio sa quanto servirebbero quelle risorse per invertire il processo asfittico della produzione industriale italiana. Con i dati Istat di febbraio, sono 25 mesi consecutivi di calo tendenziale, cioè mese su mese dell’anno procedente. La crescita dell’occupazione è un buon dato, ma divergente rispetto alla produzione industriale: stiamo diventando un Paese meno trasformatore? Un piccolo grande tradimento della nostra vocazione produttiva. Stiamo crescendo solo grazie al turismo? Nel certificato aumento dell’occupazione molti osservatori vedono un basso valore aggiunto: crescono le attività dove non è richiesta una particolare dote di formazione e di competenza. L’industria aveva (ha) un grande bisogno di “transizione” digitale ed energetica per diventare più competitiva e per migliorare la sua produttività. Invece quei 6 miliardi rimarranno non spesi, almeno per questo obiettivo, che a parole tutti condividono. Dal presidente del Consiglio, Meloni, al presidente di Confindustria, Orsini che auspica un progetto almeno triennale.

Invece si finirà per considerare questa cospicua giacenza – i 6 miliardi non spesi del piano “Transizione 5.0” – come un tesoretto. Famigerato tesoretto, buono per tutte le occasioni, a eccezione di quella per la quale era stato immaginato. Tesoretto trasformato in un “bancomat delle emergenze”. Con quei soldi si potrebbe favorire la riconversione industriale di parte della filiera dell’automotive in industria delle armi, come sollecita la bellicosa Commissione Ue. Oppure, seguendo la suggestione delle ultime settimane, si potrebbe fare conto di questi denari per affrontare la crisi dei dazi Usa. È necessario un aiuto alle imprese che finiranno per esportare di meno? Certo. Peccato che l’obiettivo non sia per nulla coerente con quello definito dalla necessità di transizione digitale ed energetica, che avrebbe dovuto assicurare all’Italia un sistema imprenditoriale rinnovato e più competitivo. Lo sviluppo del Paese e le sue imprese industriali di tutto hanno bisogno, tranne che di questi balletti. L’emergenza non può guidare lo sviluppo, ma questo può aiutare a vincere l’emergenza.

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