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Cresce del 3,5% l’export made in Italy, ma lo spettro dazi frena le vendite in Usa


Inizio d’anno in chiaroscuro per il commercio estero italiano. La fotografia scattata dall’Istat a febbraio mostra una crescita sia sul lato dell’export sia su quello dell’import, con il primo che aumenta del 3,5% su base mensile (con un +3,7% relativo all’area Ue e un +3,2% a quella extra-Ue) e il secondo che, nello stesso periodo, sale dell’1,7%. Su base annua, dice l’istituto di statistica, le esportazioni salgono invece dello 0,8% in termini di valore (+3% in Ue e -1,6% fuori dai confini europei) ma scendono del 4,3% in termini di volumi, mentre le importazioni segnano un +4,1% in termini di valore e un -2,7% in volume. Guardando al trimestre dicembre 2024-febbraio 2025, l’export avanza del 4% e l’import del 3% sui tre mesi precedenti.

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Tra i settori che maggiormente contribuiscono alla crescita annua delle vendite estere svettano: articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+31,2%) e mezzi di trasporto esclusi gli autoveicoli (+9,6%). Proprio sotto quest’ultimo aspetto si registrano le dolenti note, con le auto che frenano dell’11,5% rispetto a febbraio 2024: ampliando lo sguardo al primo bimestre, le vetture italiane esportate sono scese del 13,7%. Tra gli altri comparti in affanno: coke e prodotti petroliferi raffinati (-25,8%) e macchinari e apparecchi non classificati altrove (-4,1%).

I FLUSSI

Guardando ai Paesi destinatari delle merci tricolori, febbraio inizia a registrare i primi effetti della guerra dei dazi sulla geografia del commercio estero italiano, con l’export diretto negli Stati Uniti che inchioda di quasi dieci punti rispetto allo stesso mese del 2024 (-9,6%). Con una postilla: la flessione, spiegano Istat e Ice (l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), è dovuta al raffronto con il febbraio precedente quando l’Italia aveva consegnato agli States una grande nave che, da sola, rappresenta una fetta cospicua fetta dell’export. Al netto dei mezzi di navigazione, puntualizza l’istituto di statistica, il dato risulta infatti positivo del 6,9%. Cali simili a quelli riscontrati verso gli Usa si registrano poi nei confronti di Turchia (-9,9%) e Austria (-9%), mentre il Belgio fa segnare un -11,8%. Sul fronte opposto, a trainare il Made in Italy all’estero sono Spagna (+21,1%), Svizzera (+17,3%), Germania (+14,5%), Paesi Bassi (+13,3%), Paesi dell’area Opec (+12,9%) e Regno Unito (+10,4%).

Dopo il lieve deficit riscontrato a gennaio (-288 milioni di euro), nel mese successivo il saldo commerciale è torna positivo: tirando le somme, l’istituto guidato da Francesco Maria Chelli segnala che la bilancia commerciale italiana risulta positiva per 4,466 miliardi di euro, mentre 12 mesi prima lo era per 6 miliardi.

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A commentare i dati, il presidente Ice, Matteo Zoppas: «L’export di febbraio si attesta a quasi 54 miliardi di euro – dice – ma il momento è delicato per l’imprevedibile dinamica di negoziazione sui dazi». «Il mercato Usa – prosegue – vive un’impasse negativa da incertezza che si potrà, con probabilità, esprimere sui numeri nei mesi successivi a febbraio, anche se la sospensione dei 90 giorni e il ruolo riconosciuto a Giorgia Meloni nell’interlocuzione europea sono un segnale molto determinante». Tuttavia, rimarca Zoppas, «rimangono opportuni progetti che indirizzano verso una nuova geografia degli scambi: la crescita robusta dell’export verso i mercati Ue dimostra come l’assenza di barriere tariffarie offra un vantaggio competitivo significativo, così come lo sviluppo della strategia di diversificazione dei mercati che si sta concretizzando grazie al Piano d’Azione verso i Paesi ad alto potenziale portato avanti dal ministero degli Esteri e da tutto il sistema-Paese».

L’ALLARME

Nella giornata di ieri è arrivata anche la congiuntura flash del Centro Studi di Confindustria relativa al mese di marzo. Al netto delle previsioni anticipate giovedì alle Camere nel corso dell’audizione sul Documento di finanza pubblica (Dfp), viale dell’Astronomia lancia un forte monito: i dazi hanno un impatto negativo su un quadro già debole, in particolare su export e – alla luce dell’instabilità dei mercati finanziari – sugli investimenti. E il tutto a dispetto del calo dei tassi di interesse e dei prezzi dell’energia. Alle prese con la debolezza e l’incertezza legata alle tariffe – avverte dunque il Centro Studi – l’industria italiana corre il rischio di una crisi strutturale: a pagarne le conseguenze potrebbe essere soprattutto la manifattura.

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