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I NUMERI DELLA CRISI/ Le incognite di dazi, costi energetici e regole Ue pesano sulle imprese


Nel contesto di elevata turbolenza caratterizzato dalla guerra commerciale si registrano forti segnali recessivi sulle economie dell’Eurozona e dell’Italia, più vulnerabili per la loro apertura agli scambi globali.

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Nell’arco di poche settimane, un’applicazione di strumenti ottocenteschi, come sono i dazi, alle complesse catene globali del valore del XXI secolo si intreccia con le politiche di riarmo dell’Unione europea e un ritorno all’espansione fiscale della Germania. Sullo sfondo dei due conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, si modificano gli equilibri nelle relazioni internazionali, delineando un nuovo (dis)ordine mondiale.



Gli impatti sono rilevanti per il sistema manifatturiero italiano, caratterizzato dalla diffusione di micro e piccole imprese. Se l’Italia è il terzo Paese esportatore dell’Unione europea, dietro a Germania e Paesi Bassi, diventa il primo per valore esportato dalle imprese con meno di 50 addetti. L’Italia è la seconda economia manifatturiera nell’Ue, dietro alla Germania, ma diventa la prima per occupati nelle micro e piccole imprese manifatturiere.



L’elevata incertezza determina a marzo 2025 il secondo calo consecutivo dell’indice di fiducia delle imprese italiane. Le previsioni di aprile di Governo e Banca d’Italia concordano su una crescita del Pil reale dello 0,6% per il 2025 e dello 0,8% nel 2026. Sulla revisione al ribasso pesa una minore crescita di 0,4 punti percentuali all’anno nel 2025 e 2026 determinata dalla flessione delle esportazioni conseguente all’aggressiva politica commerciale adottata dagli Stati Uniti.

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La ricaduta dei dazi interrompe la già debole ripresa dell’export che, nel primo bimestre di quest’anno, ritorna in territorio positivo (+1,6%) dopo il calo (-0,4%) del 2024. Nelle previsioni del Governo dello scorso settembre le esportazioni erano previste salire del 3,1% nel 2025, mentre nelle stime di aprile ristagnano, fermandosi al +0,1%.



La bassa crescita compromette la buona performance dell’economia italiana degli ultimi tre anni: nonostante la straordinaria turbolenza determinata dalla guerra in Ucraina e il conseguente shock energetico, la stretta monetaria più pesante della storia dell’Euro, la caduta del commercio internazionale e le incertezze derivante dalla crisi in Medio Oriente, tra il 2021 e il 2024 il Pil pro capite in termini reali dell’Italia è cresciuto del 6,7%, un tasso doppio del +3,3% della media dell’Eurozona.

Il calo della domanda estera amplifica un prolungato calo della produzione manifatturiera, mentre a marzo 2025 le attese sugli ordini ristagnano. Nel primo bimestre 2025 l’indice dell’attività manifatturiera diminuisce del 3,2% su base annua, con le flessioni più ampie per la moda (-12,7%) e per la meccanica (-6,2%), con la produzione di autoveicoli che crolla del 34,9%. La crisi dell’automotive, dominata dalla recessione della Germania, dalle incertezze della transizione alla mobilità elettrica e ora amplificata dai dazi statunitensi, colpisce un esteso indotto dominato dai settori della meccanica, quelli dei prodotti in metallo, dei macchinari e della metallurgia.

Tra gli altri settori, nel quarto trimestre del 2024 si rileva un aumento congiunturale dell’1,2% del valore aggiunto nelle costruzioni a fronte di una debolezza (-0,1%) dell’apporto alla crescita dei servizi. I consumi delle famiglie, su cui sono concentrati gli effetti espansivi della manovra di bilancio 2025 varata a dicembre, sono previsti in salita del +1,0% per quest’anno, migliorando il +0,4% del 2024.

Nonostante il turbolento ambiente di riferimento, le imprese continuano a creare lavoro. A febbraio 2025 si osserva un aumento dell’occupazione di 567mila unità (+2,4%), sostenuto dalla crescita di 538mila dipendenti permanenti (+3,4%) e di 141mila indipendenti (+2,8%), a fronte del calo di 112mila dipendenti a termine (-4,0%). L’indebolimento del quadro macroeconomico potrà frenare il dinamismo del mercato del lavoro: nostre valutazioni indicano che solo per l’effetto dell’applicazione dei dazi statunitensi le imprese manifatturiere potranno perdere 33mila occupati.

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Il quadro delineato nel Documento di finanza pubblica 2025 conferma una politica fiscale intonata alla prudenza, dopo l’avvio a giugno scorso della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Il deficit di bilancio nel 2025 scende al 3,4% collocarsi al di sotto del limite del tre per cento (2,8%) nel 2026, mentre il rapporto debito/Pil inizierà a scendere (-0,2 punti) nel 2027.

In tali condizioni di politica fiscale, il limite alla crescita della spesa primaria netta previsto dalle regole europee di bilancio – tenuto conto della rigidità della spesa per i dipendenti pubblici, per la sanità e la previdenza – riduce le risorse per contrastare i danni all’economia reale causati dalla guerra commerciale. Appare opportuno che l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita includa, oltre alle maggiori spese per la difesa come già previsto dalla Commissione europea, gli interventi anti-ciclici straordinari.

Va ricordato che un incremento della spesa per la difesa, oltre ad avere un significativo impatto sul debito, in mancanza di un adeguato sistema di offerta europeo potrebbe attivare una eccessiva domanda di importazioni, con effetti espansivi limitati.

I processi di accumulazione di capitale sono penalizzati da una severa stretta monetaria durata due anni. Giovedì scorso il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di ridurre ulteriormente i tassi di 25 punti base, considerato che il “processo disinflazionistico è ben avviato“. A febbraio 2025 il costo del credito per le imprese italiane scende al 4,12% (era 4,28% a gennaio), ma risulta ancora superiore di 249 punti base al livello precedente alla stretta monetaria (1,63% di giugno 2022).

Oltre agli elevati oneri finanziari, sulla debolezza degli investimenti pesa la scarsa efficacia del piano “Transizione 5.0”: al 17 aprile 2025 risulta utilizzato e prenotato solo l’11,2% dei 6,2 miliardi di euro di risorse disponibili per i crediti d’imposta. Il piano avrebbe potuto sostenere investimenti per l’innovazione, la digitalizzazione, l’efficienza energetica e la crescita della produttività, controbilanciando gli effetti della politica monetaria deflazionistica che nel corso del 2024 ha indotto una riduzione degli investimenti in macchinari e impianti di 3,8 miliardi euro.

L’attività edilizia rimane sostenuta dagli investimenti in fabbricati diversi dalle abitazioni e altre opere che nel 2024 salgono dell’8,6%, un aumento in larga parte attivato dalla spesa del Pnrr. La tempistica dell’attuazione degli interventi diventa strategica per il sostegno dell’economia reale: come emerge dallo stato di avanzamento esaminato dall’Upb, a poco più di un anno dalla scadenza, pur essendo attivato circa il 95% della dotazione complessiva del Piano, rimangono da spendere 130,3 miliardi di euro.

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Sul fronte della tenuta dell’inflazione preoccupano i segnali di tensione del costo dell’energia: a seguito dei rialzi di inizio anno sui mercati all’ingrosso del gas europeo, a marzo 2025 i prezzi retail di energia elettrica e gas in Italia salgono dell’8,8% rispetto a un anno prima, a fronte del +2,5% della media dell’Eurozona. Per il 2025 Banca d’Italia prevede una crescita delle quotazioni sul mercato europeo del gas del 25,7% su base annua.

Una prolungata turbolenza sui mercati energetici e una spinta inflattiva causata dall’escalation della guerra dei dazi potrebbero rallentare la discesa dei tassi da parte della Bce, con effetti negativi sugli investimenti.

Nostre elaborazioni su dati Banca d’Italia, Bce, Commissione europea, Eurostat, Gme, Istat, Mef e Upb.

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