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Buoni pasto e indennità di mensa: quando non fanno reddito (e fanno bene all’azienda)




Tra le forme di welfare aziendale più diffuse e apprezzate dai dipendenti ci sono i benefit legati alla ristorazione: buoni pasto, mense aziendali o indennità per chi lavora in zone isolate. Non solo rappresentano un vantaggio per i lavoratori, ma anche per le imprese, grazie al regime fiscale agevolato previsto dalla legge.

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Ma quali sono le condizioni per non farli rientrare nel reddito da lavoro dipendente e, allo stesso tempo, garantirne la deducibilità per l’azienda?


La norma che fa eccezione: articolo 51 del Tuir

Il principio generale dice che tutto ciò che un lavoratore percepisce va tassato. Ma l’articolo 51 del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi), alla lettera c) del secondo comma, fa un’importante eccezione per i benefit legati al pasto.

Le prestazioni escluse dal reddito sono tre:

  1. I pasti offerti direttamente dal datore di lavoro, tramite mense interne o convenzionate;

  2. I buoni pasto (i famosi “ticket restaurant”), entro 4 euro al giorno se cartacei, oppure 8 euro se elettronici;

  3. Le indennità per i lavoratori in cantieri, sedi temporanee o zone prive di strutture di ristorazione, fino a 5,29 euro al giorno.


Buoni pasto: come funzionano davvero?

Negli anni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito molti aspetti legati all’uso dei buoni pasto. Uno dei chiarimenti più rilevanti riguarda lo smart working: anche chi lavora da casa può beneficiarne, purché rientri in una categoria omogenea di lavoratori e non riceva il buono a titolo personale.

Il tetto di esenzione (4 o 8 euro) va calcolato sul valore nominale del buono. Se il valore è più alto, la parte eccedente si somma al reddito imponibile, senza possibilità di “compensarla” con altri fringe benefit.

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Inoltre, i buoni devono essere:


E le card elettroniche?

Sempre più aziende utilizzano card elettroniche per i pasti. Questi strumenti, quando servono solo a identificare il dipendente e permettere l’accesso a una rete di esercizi convenzionati, non sono considerati buoni pasto, ma un’estensione del concetto di mensa aziendale. Per questo, non concorrono al reddito, anche se superano il limite degli 8 euro.

Attenzione però: se la card diventa una sorta di “prepagata” o carta di credito, perde il beneficio fiscale.


Indennità sostitutiva: solo in casi specifici

Un’altra forma di supporto alimentare è l’indennità sostitutiva, riconosciuta quando non è possibile fornire un pasto o un buono. Ma anche qui ci sono paletti precisi:

  • Il lavoratore deve avere una pausa pranzo prevista dall’orario;

  • Deve essere assegnato stabilmente a una sede di lavoro;

  • E questa sede deve trovarsi in una zona priva di ristoranti raggiungibili a piedi durante la pausa.

Se manca uno solo di questi requisiti, l’indennità è considerata reddito imponibile.


L’azienda può scegliere (ma deve rispettare le regole)

La legge consente al datore di lavoro di scegliere liberamente la modalità più adatta alla propria organizzazione: mensa, buoni, indennità. E può anche adottare più sistemi contemporaneamente, purché:

  • le prestazioni riguardino categorie omogenee di lavoratori;

  • non si cumulino più benefit nella stessa giornata (es. mensa + buono pasto).  Lo stesso dipendente, nella stessa giornata lavorativa, non può fruire del servizio mensa, utilizzare il ticket restaurant e/o ricevere l’indennità sostitutiva del servizio di mensa.


Un vantaggio (anche) per le imprese

Indipendentemente dalla modalità adottata, i costi sostenuti per l’erogazione del pasto ai dipendenti sono interamente deducibili dal reddito d’impresa. Una spinta concreta verso forme di welfare che fanno bene a tutti: al lavoratore, che risparmia e si sente valorizzato, e all’azienda, che migliora il clima interno e ottimizza la gestione fiscale.


In sintesi




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