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La cessione della quota di Studio Associato: risvolti anche nel passaggio al regime forfettario?


Negli ultimi anni, il regime forfettario ha rappresentato una delle scelte fiscali più appetibili per i liberi professionisti, grazie alla sua semplicità gestionale e al trattamento fiscale agevolato, che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 15% (ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività) sul reddito conseguito durante il periodo d’imposta. Tuttavia, l’accesso e la permanenza nel regime forfettario sono subordinati al rispetto di numerosi requisiti e limiti, tra cui l’assenza di partecipazioni in associazioni professionali.

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Com’è noto, la normativa di riferimento per il regime forfettario è contenuta nella Legge n. 190/2014, art. 1, commi 54-89, che disciplina i criteri di accesso e le cause di esclusione. Tra queste, viene espressamente indicata l’incompatibilità con la partecipazione a società di persone, associazioni tra professionisti o imprese familiari. In particolare, il legislatore stabilisce che “non possono avvalersi del regime forfettario i soggetti che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari.”

All’interno della circolare n. 9/2019, l’Agenzia delle Entrate ha inoltre specificato che la detenzione di quote in società di persone, associazioni professionali, imprese familiari o aziende

coniugali costituisce un motivo di esclusione a prescindere dall’entità della quota posseduta o dalla natura dei rapporti lavorativi con l’imprenditore o il professionista operante in regime agevolato. Tuttavia, tale condizione non si applica se il contribuente provvede alla rimozione della causa ostativa nell’anno precedente a quello di accesso al regime agevolato.

Per rendersi “idonei” all’ingresso nel regime forfettario è quindi necessario dismettere tale partecipazione, ad esempio mediante cessione della quota associativa.

Una delle novità introdotte dalla recente Riforma Fiscale riguarda la qualificazione reddituale dei proventi derivanti dalla cessione della quota dello studio associato. In precedenza, non vi era un’interpretazione univoca circa il trattamento fiscale di tali proventi (per maggiori dettagli sul tema si rimanda al seguente contributo “Le nuove regole fiscali per la cessione di quote negli studi associati“); oggi, invece, basandosi sulle interpretazioni dell’insieme di modifiche disposte dal D.Lgs. 192/2024, i proventi derivanti dalla cessione delle quote di associazioni professionali dovrebbero costituire reddito di lavoro autonomo.

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Nello specifico, infatti, una prima modifica apposta dal Correttivo Irpef-Ires all’articolo 17, Tuir, in materia di tassazione separata, introduce per il contribuente la possibilità di ricorrere a tale modalità di tassazione anche nel caso di cessione della partecipazione in associazioni professionali o società semplici che producono reddito da lavoro autonomo a patto che il corrispettivo venga percepito, anche in più rate, all’interno dello stesso periodo d’imposta.

Di conseguenza, sono escluse dall’ambito di applicazione del regime di tassazione separata, le cessioni di partecipazioni in società commerciali che, pur svolgendo attività professionali, producono reddito d’impresa (Stp): in questi casi si continuerà ad applicare l’ordinario Capital Gain.

Lo snodo cruciale, nella realtà ancora da comprendere, riguarda la corretta collocazione reddituale dei proventi derivanti dalla cessione di quote in associazioni o società semplici: reddito di lavoro autonomo (articolo 54, Tuir) o redditi diversi (articolo 67, Tuir)? La domanda, infatti, sorge spontanea, in conseguenza del fatto che è venuta meno, all’articolo 67, Tuir (redditi diversi), l’esclusione prima prevista per le associazioni e le società semplici professionali.

La riformulazione dell’art. 54 TUIR sembra fare propendere l’interpretazione per cui ora la plusvalenza derivante dalla cessione di partecipazioni in associazioni professionali configuri reddito di lavoro autonomo. Difatti, all’interno del nuovo articolo 54, Tuir, il legislatore ha esteso al lavoro autonomo il principio di onnicomprensività, già previsto per il lavoro dipendente, secondo il quale “il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica o professionale e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività (…)”.

Se l’intenzione del legislatore è assimilare tali proventi a redditi di lavoro autonomo, qual è stata la logica sottostante alla modifica di cui all’articolo 67 TUIR? Ciò genera non pochi dubbi interpretativi sul tema.

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