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Tassa Usa sulle navi, gli armatori: “Danni per consumatori e aziende”


Genova – Il World Shipping Council (Wsc, l’associazione armatoriale che riunisce le principali compagnie di navigazione globali specializzate nel trasporto di container e rotabili) ha espresso ufficialmente i propri timori dopo l’emissione da parte dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio Usa (Ustr) del meccanismo di tassazione che colpirà dal prossimo ottobre le navi costruite in Cina o di proprietà/gestione cinese in ingresso nei porti statunitensi.

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Il Wsc ha un peso di tutto rispetto nell’economia Usa, sia sotto un profilo politico (il grosso dello staff opera a Washington, e nel board presieduto dall’ad di Msc, Soren Toft, ci sono rappresentanti di big americani Matson o Crowley) ma soprattutto operativo, gestendo il 65% del commercio marittimo Usa, con un contributo di oltre 2.000 miliardi di dollari l’anno, con 6,4 milioni di posti di lavoro nel Paese per 420 miliardi di dollari di stipendi erogati. I membri del Wsc rappresentano inoltre il 75% delle navi iscritte al Programma di sicurezza marittima degli Stati Uniti.


Joe Kramek

 

«Rivitalizzare il settore marittimo americano è un obiettivo importante e condiviso – commenta Joe Kramek, presidente e ceo del Wsc – che richiede una strategia legislativa e industriale a lungo termine. Abbiamo accolto con favore la visione delineata nell’Ordine esecutivo del presidente Donald Trump, che propone iniziative mirate per rafforzare la cantieristica navale, i porti e la resilienza della supply chain Usa. Ma il regime di tariffe annunciato dall’Ustr va nella direzione sbagliata: aumenterà i prezzi per i consumatori, indebolirà il commercio statunitense e farà poco per rivitalizzarne l’industria del mare».

Il Wsc definisce «retroattive» le tasse portuali per le navi costruite in Cina che sono già in acqua – non va dimenticato che il Dragone da diversi anni è il primo costruttore navale del mondo: praticamente ogni compagnia ha unità realizzate in Cina nella propria flotta.

Dunque questa tassazione «non offre alcun sostegno alla cantieristica statunitense, e al contrario rischia di danneggiare gli esportatori americani, in particolare gli agricoltori, in un momento in cui il commercio globale sta affrontando notevoli difficoltà. Inoltre queste sanzioni retroattive interrompono la pianificazione degli investimenti a lungo termine, introducendo nuovi costi e imprevedibilità per le imprese e i consumatori americani», perché avrebbe ovviamente un costo anche disdire le commesse di navi attualmente in ordine in Cina per riallocarle altrove.

L’altro elemento che preoccupa gli armatori è il sistema di calcolo della maxi-tassa, basato sulla stazza netta, ossia la somma di tutti gli spazi interni della nave utilizzabili commercialmente.

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Ma così si penalizzano «in modo sproporzionato le navi più grandi ed efficienti che trasportano beni essenziali, inclusi i componenti utilizzati nelle linee di produzione statunitensi, dicono dalla Wsc -. Quasi la metà di tutte le importazioni su portacontainer negli Stati Uniti viene utilizzata direttamente nei processi di produzione nazionali. L’aumento del costo di queste spedizioni si ripercuoterà sulla catena di approvvigionamento, aumentando i costi di produzione per le imprese americane e, in definitiva, per i consumatori. Penalizzerà anche i porti statunitensi, che hanno effettuato investimenti significativi per espandere la propria capacità di attrarre e gestire le più grandi navi portacontainer che servono il settore».

Male anche la tassazione, arrivata a sorpresa, delle navi-garage: «Un’azione arbitraria, che colpisce tutte le navi costruite all’estero (e non solo quelle realizzate in Cina, ndr) e rallenterà ulteriormente la crescita economica statunitense, aumentando i prezzi delle auto per i consumatori americani, senza tuttavia incoraggiare gli investimenti marittimi statunitensi».

In fondo alla lista, la Wsc paventa anche «problemi legali e strategici» perché «le tariffe proposte sembrano estendersi oltre l’autorità concessa dalla legge commerciale statunitense». Gli armatori esortano l’amministrazione Usa a riconsiderare questa mossa, e mettono sul tavolo alcune misure alternative: «Percorsi costruttivi, come incentivi mirati agli investimenti, miglioramenti infrastrutturali e processi normativi semplificati, possono offrire benefici duraturi senza interrompere il commercio statunitense o aumentare i costi per produttori e consumatori americani».

Vengono infine sottolineate alcune circostanze oggettive che pongono alcuni dubbi sulla possibilità di rilanciare in grande stile e in breve tempo il settore marittimo Usa, con i cantieri che scontano «un arretrato di ordini militari e una continua carenza di manodopera» e navi su cui si registra una cronica «carenza di marinai statunitensi qualificati». —



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